Anche le migliori storie d’amore hanno fasi altalenanti, periodi brutti alternati a momenti di assoluta spensieratezza e il rapporto tra la Settima Arte con il mondo dei videogiochi ne è l’esempio calzante.
Ripercorriamo insieme tre decadi di trasposizioni videoludiche, tra (tanti) bassi e (pochi) alti.
1990-2000: i primi passi
Usciva nel 1993 il primo vero film tratto da un videogame e quale miglior occasione per non iniziare con un peso massimo?
Super Mario Bros rimane tuttora un cult per tantissimi appassionati di B-Movie, un orripilante mostro di Frankestein che rilegge le avventure dell’idraulico italiano più famoso del Giappone in chiave cyberpunk e detta così si potrebbe anche pensare a qualcosa di avanguardistico e surreale.
Purtroppo per l’enorme cast coinvolto, con nomi di rilievo quali Bob Hoskins, Dennis Hopper e John Leguizamo, non sarà così: lo stesso Hoskins (scomparso nel 2014) dichiarò che Super Mario Bros è il di gran lunga il peggior film della sua carriera, un’esperienza da incubo gestita da un cast tecnico incompetente, Leguizamo (che nel film interpreta Luigi) ha ammesso di recente che durante le riprese lui e Hoskins erano perennemente ubriachi, solamente i fumi dell’alcool potevano salvare la situazione di quel disastroso set.
Costato poco più di 40 milioni di dollari a fine corsa il film ne incassò poco più di 38, un fallimento di critica e pubblico su tutta la linea.
Ma da qualcosa bisognerà pur cominciare…
Super Mario Bros è stato un flop commerciale eppure ha dato il via a qualcosa, ad Hollywood si sono accorti che i videogiochi possono essere sfruttati anche per macinare soldi al botteghino oltre che nei cabinati delle sale giochi di tutto il mondo.
Nel 1994 un altro grande titolo nipponico irrompe nelle sale di tutto il mondo, Street Fighter – Sfida Finale con un improbabile Jean Claude Van Damme nel ruolo di Guile e il compianto Raul Julia nel ruolo di M.Bison è un film ingenuo, confusionario e anche un po’ stupido eppure non riusciamo a volergli così male.
Il titolo di punta di casa Capcom, nel 1994 era già arrivato all’apice del successo con il titolo Super Street Fighter II Turbo e in base a questo titolo i creatori della saga sono stati chiarissimi: il film dovrà includere tutti i personaggi del nutrito roster, non importa come ma dovevano esserci.
Una bella gatta da pelare per lo sceneggiatore e regista Steven E. De Souza (autore tra gli altri della sceneggiatura del primo Die Hard), visto considerato che all’epoca Street Fighter non aveva una vera e propria trama.
Il risultato fu un patchwork di situazioni e scene action messe lì alla rinfusa, con un Van Damme in completa fattanza di cocaina e un povero Raul Julia che non riuscirà mai a vedere il film finito, l’attore portoricano, malato da tempo, morirà da lì a poco a causa di un cancro al pancreas.
Un finale di carriera ben poco onorevole per il leggendario interprete di Gomez ne La Famiglia Addams di Barry Sonnenfeld (1991).
Altro giro, altra corsa.
Nel 1995 esce un altro grande incasso al botteghino, il diretto concorrente di Street Fighter tanto nei cabinati delle sale giochi quanto nelle console casalinghe: Mortal Kombat.
Il film diretto da Paul W.S. Anderson (che diventerà, ahinoi, un abitudinario al genere) riesce ad essere comunque un film convincente nonostante tutti i limiti che si porta dietro da quasi trent’anni.
In primis il casting assolutamente sbagliato di Christopher Lambert (attore francese diventato un’icona con Highlander) nei panni del Dio del Tuono Raiden, completamente spaesato e in palese difficoltà nell’interpretare un ruolo così aulico.
In secondo luogo la totale mancanza di gore e splatter, vero marchio di fabbrica della saga videoludica creata da Ed Boon e John Tobias, nel film non scorre una goccia di sangue nemmeno a pagarla oro.
Eppure, nonostante tutto, Mortal Kombat funziona: fedele alla sua controparte videoludica (che a differenza di Street Fighter ha una trama ben consolidata), con una colonna sonora diventata cult prima di subito e scene di combattimento coreografate in maniera grandiosa e quasi credibile, considerato il materiale di partenza della pellicola.
A differenza del dimenticato film di Double Dragon (uscito nel 1994), altra trasposizione di uno storico picchiaduro, di cui nessuno ha più memoria. E per fortuna, aggiungiamo noi.
Anni 2000-2010: il troppo stroppia
Ci vorranno ben sette anni per rivedere Paul W.S. Anderson alla regia di un cinegame e nel frattempo la tecnologia ha fatto passi da gigante, soprattutto nel mercato delle console domestiche.
Il videogioco, come forma d’intrattenimento, si è sempre di più avvicinato al cinema grazie ad opere come Metal Gear Solid, Silent Hill e Resident Evil.
Ed è proprio di quest’ultimo che Anderson prenderà le redini, nel 2002 infatti esce il primo adattamento live action del famoso titolo creato da Shinji Mikami per Capcom, il primo di un lungo (e parecchio altalenante franchise) con protagonista la futura moglie del regista: Milla Jovovich.
Film d’intrattenimento per tutta la famiglia, con l’elemento horror che va sempre più scemando fino all’aberrante The Final Chapter (2017), sesto e ultimo capitolo della saga.
Insomma, dagli zombi di stampo Romeriano del videogioco ai superpoteri il passo è breve secondo Anderson, che è riuscito nell'ardua impresa di discostarsi sempre di più dal concetto originale del titolo Capcom.
Il primo decennio del nuovo millennio risulta quindi un mercato piuttosto florido per i produttori, convinti che il media videoludico possa sfondare anche sul grande schermo senza però capire che, di fatto, le trasposizioni vanno fatte a pennello e non vagamente ispirate all’opera originale.
Final Fantasy (2001) ne è l’esempio palese, un film che rimarrà nella storia per essere il primo lungometraggio non animato completamente in CGI ma completamente slegato dalla saga principale facendo, tra l’altro, un sonoro tonfo al botteghino.
E’ anche il caso di Doom (2005), con il lanciatissimo Dwayne “The Rock” Johnson e con Karl Urban, mediocre film di stampo puramente horror che del videogioco originale non ha nulla, salvo una piccola sequenza in prima persona, piazzata nel finale come puro omaggio al titolo creato da John Carmack.
Oppure dei due terribili Tomb Raider (2001 e 2003) con Angelina Jolie, beceri action movie figli adottivi della versione Asylum di Matrix.
Come non citare poi il mediocre Max Payne (2008) con un Mark Wahlberg completamente imbambolato, in un adattamento scialbo dell’invece divertentissimo sparatutto di stampo noir metropolitano di Remedy insieme a Hitman- L’assassino (2007) di Xavier Gens, che va a braccetto con il detective Payne sulla strada della noia.
E questi sono solo alcuni.
Non basta l’ottimo Silent Hill (2006), adattamento tanto fedele quanto spaventoso del classico made in Konami, per salvare i cinegiochi dal un eventuale oblio: troppi prodotti, troppa confusione, pochissime buone idee ma soprattuto un mercato che rischia di diventare già saturo dopo appena 15 anni dal lancio di Super Mario Bros.
Ultimo ma non ultimo, il tedesco Uwe Boll, colui che dal 2003 al 2008 ha contribuito a spingere il genere sempre più verso il baratro con opere di maestosa bruttezza come House of The Dead, Alone in the Dark, Bloodrayne, In the Name of the King, Postal e Far Cry.
Una sequela di film che gli hanno regalato il titolo di “regista peggiore del mondo”, ben fatto Uwe!
Anni 2010-2020: qualcosa sta cambiando
Considerata la mole di pellicole cine-videoludiche, era naturale che i grandi capoccia di Hollywood (e non solo) facessero marcia indietro, il mercato era ormai saturo e le priorità del grande pubblico erano ben altre con i cinecomics che stavano prendendo piede grazie alla neonata Marvel Studios e con la trilogia Nolaniana di Batman che aveva fatto sfracelli al box-office.
Quindi, a parte qualche grosso investimento in termini di budget con Prince of Persia – Le sabbie del tempo del 2010 (con uno sprecatissimo Jake Gyllenhaal), le grandi major si dissociarono quasi del tutto dal genere cercando di investire i loro soldi in maniera più adeguata e soprattutto redditizia.
Cosa rimane, quindi, del decennio 2010-2020?
Esperimenti aberranti come il live action di Tekken (2010), oppure il pessimo sequel di Silent Hill del 2012, finito giustamente nel dimenticatoio.
O ancora il mediocre Need For Speed del 2014 con Aaron “Jesse Pinkman” Paul, noioso come una corsa su una Fiat Panda. Peggio che andar di notte con il terribile adattamento di Assassin’s Creed (2016) prodotto ed interpretato da Michael Fassbender, un vero pugno nello stomaco agli appassionati del franchise creato da Ubisoft.
Eppure sul finale del decennio l’asticella si è alzata leggermente con il delizioso Pokémon: Detective Pikachu (2019), primo esperimento live action dei famosi mostri tascabili creati da Nintendo, sulla stessa falsariga anche Sonic (2020), pellicola dedicata al riccio velocista di casa Sega e citiamo anche il simpatico Angry Birds (2016) film animato della Sony con protagonisti i famosi uccelli arrabbiati dell’omonimo mobile game prodotto da Rovio.
Citiamo per dover di cronaca anche Warcraft – L’inizio (2016) di Duncan Jones, bistrattato dagli amanti dell’omonima saga videoludica creata da Blizzard, che però rimane (tuttora) il maggior incasso al botteghino di un film tratto da un videogioco.
Quindi a conti fatti, è iniziata male ma tutto sommato non sta finendo così peggio, probabilmente serviva meno confusione a livello creativo per tirare fuori dal cilindro prodotti ben confezionati.
2020-2023: tre decadi fa…
Pensiamo a com’è cambiato il mercato videoludico negli ultimi 30 anni.
Siamo passati dal tubo catodico del Super Nintendo e del Sega Mega Drive al 4K di PlayStation 5, dalle cartucce ai giochi in digitale da centinaia di gigabyte, dai platform pixellosi ad un vero e proprio esempio di cinema interattivo.
Discorsi da boomer direte voi, in effetti non avete tutti i torti dato che chi vi scrive ha superato la soglia dei 40.
La Settima Arte si è evoluta di pari passo dei videogiochi, dai dinosauri di Jurassic Park al fotorealismo di Avatar – La via dell’acqua sembra passato un secolo, eppure sono trent’anni esatti.
Super Mario Bros, da un certo punto di vista, è stato un pioniere,nonostante il fallimento mediatico dell’epoca il film ha ancora un posto speciale nel cuore di milioni di appassionati.
Non è un caso che dopo tre decadi esatte esca il nuovo adattamento cinematografico sull’idraulico di casa Nintendo, questa volta partorito dalla mente geniale di Illumination, lo studio che grazie a Cattivissimo Me e i Minions ha dettato nuovi standard per quanto riguarda l’animazione.
Il trailer fa ben sperare i fans di Mario, il film sembra essere fedele al 100% alla controparte videoludica.
Ma ci volevano veramente trent’anni per eguagliare il videogioco, non solo come forma puramente estetica ma anche per sostanza narrativa?
Nonostante un paio di scivoloni (come l’orrendo Resident Evil: Welcome to Raccoon City del 2021 o il pessimo Monster Hunter del 2020 sempre di Paul W.S. Anderson), la Settima Arte ha riabbracciato il successo dei cinegame grazie anche a Mortal Kombat (2021), Uncharted (2022) e Sonic 2 (2022).
Un genere completamente rinato quindi?
Sembrerebbe di sì, vista la mole di recensioni positive che gridano al capolavoro (97% di gradimento su Rotten Tomatoes) per The Last of Us , neonata serie HBO ispirata alle vicende dell’omonimo titolo di Naughty Dog e sceneggiata da Craig Mazin (Chernobyl) e dal papà del videogioco, Neil Druckmann.
Nei prossimi anni arriveranno gli adattamenti di God of War (con una serie tv prodotta da Amazon), Borderlands (diretto da Eli Roth,attualmente in post-produzione), il sequel già annunciato di Mortal Kombat e un probabile adattamento di Death Stranding del maestro Hideo Kojima tra i tanti.
Quest’ultimo, poi, è un prodotto che già di per sé è quasi un film interattivo.
Tuttavia se la qualità si è elevata e l’asticella si è alzata allora non ci resta che sperare che sia tornata anche la qualità produttiva di titoli che meriterebbero la fruizione di tutti, anche dei non videogiocatori, perché in fin dei conti le grandi storie ci sono anche nei videogiochi, è giusto regalarle anche a chi non li conosce.
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