Un gioco da ragazze!
Nell'immaginario collettivo sociale, letterario e di intrattenimento, per molto tempo la figura della donna è stata relegata a ruoli marginali e delicati. Partendo dagli albori, non si può non pensare alle protagoniste dei romanzi più famosi della storia della letteratura: Anna Karenina, Elizabeth “Lizzy” Bennet, Emma, Jane Eyre, Rossella O’Hara, Emma Bovary, Catherine Earnshaw e tantissime altre.
Tutte queste donne sono accomunate si dà una profonda forza, ma anche da una certa leggerezza e delicatezza d’animo che le accompagna attraverso percorsi intricati e controversi, spesso sospinte da un motore comune: la ricerca dell’amore.
Le vediamo combattere, ma anche da protagoniste restano in qualche modo in disparte, delegando compiti e decisioni importanti ad altri, sottolineandone fragilità e purezza. Questo contesto letterario, così romantico e dolce, ha in qualche modo influenzato per anni il modo di vedere le eroine; stereotipandole per molto tempo a figure che non potevano essere destrutturate in nessun modo.
Il mondo videoludico e del fumetto è stato profondamente innovativo in questo senso, dando una forte virata alla visione standardizzata della donna, verso una versione di loro stesse non solo più in linea con realtà, ma anche fortemente incentrata sullo spronarle verso la propria individualità ed indipendenza.
Questo momento di svolta lo abbiamo senza ombra di dubbio a partire dai manga, in uno dei quali Riyoko Ikeda ci regala una figura femminile di spessore, fortemente incentrata sulla contestualizzazione dell’Io al di là delle convenzioni sociali. Stiamo parlando del manga “Versailles no bara”, dove un uomo, spinto appunto dalla forte pressione sociale, educa sin dalla nascita l’ultima figlia come un uomo. Oscar François de Jarjayes cresce da “maschio”, ma questo le permette di sviluppare forza e determinazione; lei non viene salvata, si salva da sola e l’amore, pur essendo colonna portante, la guarda da lontano e non la guida nel suo percorso di crescita. Concetto questo, totalmente innovativo.
Nel mondo del gaming questo senso di rivalsa è ancora più forte.
Si parte dalla figura convenzionale della principessa con l’abitino rosa da salvare in “Mario Bros”. Il gioco gira più o meno tutto intorno a questa missione e , pur essendo un gioco caro ai nostri cuori (non lo stiamo assolutamente demonizzando, anzi; Mario Bros resterà un cult per sempre) è il classico esempio di come i giochi agli albori fossero incentrati su questo modello ricorrente sulla scia di una locuzione fissatasi in una determinata forma e ripetuta all'infinito: l’eroe che salva la principessa in pericolo.
Ma qualcosa cambia anche nel mondo videoludico, rivoluzionando per sempre le sorti del gaming mondiale.
Finalmente vengono introdotte figure femminili che non solo diventano protagoniste della storyline, ma sono guerriere che si salvano da sole e grazie a loro stesse salvano il mondo intero. Le eroine del gaming danno una “ spolverata” alle vecchie convinzioni; combattono a mani nude, usano armi e risolvono enigmi.
Nei nostri cuori sono scolpiti i nomi di molte di loro: Lara Croft( Tomb Raider), Rinoa Heartilly (Final Fantasy VIII), Jill Valentine (Resident Evil) ma potremmo continuare all'infinito…
Tutto questo, in che modo ha influito su chi si trova al di là dello schermo?
Come abbiamo accennato prima, il risvolto della medaglia è più che positivo; da un lato abbiamo il gamer donna che in qualche modo finalmente sente di potersi immedesimare in ogni senso possibile nella protagonista, crescendo con una figura di riferimento forte che l’accompagna nella propria passione, dall'altro abbiamo il gamer uomo che accetta di buon grado l’entrata in gioco di questa figura e questo lo “ abitua” in qualche modo anche al concetto di giocatrice femminile, rompendo quel muro divisorio che si è sempre immaginato esistesse.
Ma è realmente così? Quel muro esiste?
Ovviamente su questo argomento è impossibile generalizzare, ma possiamo azzardarci nel dire che nelle comunità di gaming questo accade sempre più di rado, o addirittura mai.
Tuttavia non bisogna pensare che il mondo del gaming sia scevro di episodi di “stereotipizzazione”; infatti a cavallo degli anni duemila, sul web girava la foto di una ragazza con la frangetta e gli occhiali che mordeva il filo di un controller. Quell'immagine ha rappresentato per anni il cliché della “gamergurl”, scatenando spesso l’ira di molte ragazze. Non vi è un modello predefinito che possa descrivere una determinata donna o uomo che sia, che gioca ai videogame; ognuno è a se stante, differente; e ci sono voluti anni e sfortunatamente diversi episodi di cyberbullismo, per togliere questa etichetta dall'immaginario collettivo.
Foto di Ernesto Greco
Nonostante ciò, ci piace pensare che l’entrata in scena delle nostre eroina abbia influito in maniera positiva sulla visione generale delle cose; aprendo occhi, orizzonti e indirizzato le menti verso una visione più paritaria nel concetto di gaming, a prescindere dal sesso.
Ognuno di noi ha fatto la sua parte: abbiamo giocato con i nostri fratelli, cugini, fidanzati, ed insieme a loro abbiamo piantato il seme per la creazione di un mondo unitario ed aperto, privo di differenze.
Ma la scienza è in accordo con queste riflessioni?
Tutti i dati europei e statunitensi sembrano propendere verso questa direzione, infatti, secondo le stime, circa la metà dei giocatori totali sono donne, a differenza di quanto la stragrande maggioranza tenda ad immaginare; a confermare questa ricerca vi è anche uno studio pubblicato da IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association), dove pare che nella comunità di gamer italiana il 47% siano donne.
Ad avvalorare la tesi vi è anche l’ascesa di numerosissime gamer professioniste o Twitcher di spessore.
Il primo team di gamer completamente al femminile italiano nasce nel 2019 , è la “Samsung Morning Stars Athena” capitanata da Selene “NancyDrew” Mauretto e nello stesso anno partecipa al primo campionato Europeo Femminile, “CSS Women’s League 2019- Europe”.
Dunque, il mondo femminile del gaming è davvero emarginato come si pensava in passato?
Una risposta certa a questa domanda non ci sarà mai, ma l’unica cosa insindacabile è che il potere è nelle nostre mani. Siamo noi a decidere di aprire le nostre menti, siamo noi i detentori di qualcosa di grande e se c’è ancora qualche gradino da compiere verso la scomparsa totale del pregiudizio, possiamo compierlo insieme.
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